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India: un viaggio interiore

India: come raccontarla?

Potrei parlare di intricati bazaar e di campi di lucciole, di colorati templi induisti e affascinanti moschee. Potrei guidarvi per vie di Old Delhi fagocitate dal traffico, o condurvi nel silenzio del tempio d’oro di Amritsar, potremmo percorrere la campagna verde del Rajastan, o unirci al coro di voci che eleva preghiere sui ghats inchinati sul Gange.

E come mi disse una signora uno dei miei primi giorni: “Take it easy: India needs time, asks for time and has its own time”.

 

Il mio viaggio comincia ad est, nella “città della gioia”, nella confusa, intricata, indescrivibile Calcutta.

Sono venuta per aiutare nei centri delle Suore di Madre Teresa, dove tutti sono accolti: non solo cristiani, ma anche buddisti, induisti, musulmani, atei.

Per un giorno, una settimana, un mese, una vita.

La mia giornata comincia presto: alle sei del mattino la messa, poi colazione e alle otto al lavoro. All’ingresso dell’orfanatrofio dove presto servizio c’è una frase: "God still loves the world through me and you today". Così si compie il miracolo che trasforma le ferite in feritoie d’amore.

 

Un mese e mezzo di volontariato e in poi, in viaggio, verso l’India del Nord, verso altri paesaggi, altri incontri: Agra, Fatehpur Sikri, Udaipur, Pushkar, Varanasi.

Ho visitato templi giainisti e fortezze di marajà, camminato per campi verdeggianti e ascoltato racconti intorno al fuoco, ho scoperto miniaturisti, centri ayurvedici e provato corsi di yoga. Ho contemplato l’India come l’ho sempre immaginata, l’India del “Dio delle piccole cose” e di Siddartha, delle preghiere urlate al tramonto e del silenzio dei mantra all’alba nei templi.

L’India opulenta del Rajastan, dei suoi deserti e delle sue fortezze, l’India moderna nel potere dei palazzi di Delhi e l’India povera, essenziale e disperata, e così infinitamente vera, di Calcutta.

 

Dov’è si il confine tra vita e morte?

Qual è la distanza che separa, come fa il Gange tra la due parti dell’India, queste due facce della stessa medaglia?

E’ giusto voler cambiare ciò che non ci appartiene? Che senso ha l’aiuto che tentiamo di dare?

 

“Quello che facciamo non è che una goccia nell’oceano, ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe” , mi avrebbe risposto Madre Teresa.

Così comincio a cambiare io prima di voler cambiare il mondo, qui dove tutto è ridotto all’essenziale e solo ciò che è autentico conta.

Ed è una persona diversa quella che ritorna a casa, dopo queste settimane in India.

 

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